Si può dire che lo street food stia vivendo un successo planetario, ma relativamente recente? La risposta è “ni”: in realtà lo street food non è mai passato di moda, ma semplicemente ha allargato a dismisura la platea dei suoi affezionati consumatori.
Si tratta di un trend che è semplicemente la risposta a un modo di vivere globale. Non siamo solo noi italiani a vivere sempre più in maniera frenetica, con pause pranzo che (con buona pace delle guide per turisti!) raramente sfiorano i 30 minuti. Per immagazzinare energie che ci portino alla fine di una lunga giornata lavorativa abbiamo bisogno di qualcosa che sia veloce da mangiare, pronto da consumare, che non necessiti di essere riscaldato (… anche se ci sono preferenze individuali al riguardo!). Allora lo street food, dagli hamburger ai Cornish pasty, dalle samosa alle salsicce Isaan della Thailandia, risponde proprio a questa esigenza.
Funzionalità e prezzo basso
Secondo il giornalista Massimiliano Ricciarini, lo street food risponde a un’esigenza funzionale: non solo è facile, ma è anche sano (eccezioni ipercaloriche a parte). Mentre per Il Gambero Rosso, il successo dello street food sta nel suo costo contenutissimo – si può pranzare o comunque fare una pausa di gusto anche a meno di cinque Euro.
Un’equazione, dunque, piuttosto complessa, con tanti fattori. Alla quale si aggiunge anche un aspetto legato al cambiamento della società: fino agli anni dell’austerity, i Settanta, lo street food almeno in Italia era considerato una prerogativa della fasce basse della popolazione. Si veniva dal periodo del boom economico e gli italiani a tavola non volevano fare sacrifici o risparmiare.
Bastò quella prima recessione a riordinare le priorità e a sdoganare il cibo da asporto come una validissima, economica alternativa al “pasto seduto”. Oltre qualcosa di semplice come un supplì o una porzione di panelle, dunque, si nascondono meccanismi complessi.