Se non abbiamo un “eureka!” con il nome e cognome dell’inventore dello street food, abbiamo invece un indirizzo abbastanza preciso e così anche una data approssimativa: ci troviamo nel porto di Alessandria d’Egitto circa 10.000 anni fa. I pescatori di ritorno dalla loro giornata di lavoro puliscono e friggono al volo il frutto di tanta fatica, e lo vendono in cartocci fatti di foglie a chi parte o arriva. Troviamo tracce di queste fritture di pesce in tantissimi altri porti del Mediterraneo nello stesso periodo, ma questo luogo e questo periodo sono i primi a essere documentati dalle cronache dell’epoca.
Proprio il Mediterraneo diventa fondamentale per la diffusione di questo street food originario: tuttora la frittura di pignoletti è uno degli assaggi di strada più popolari al porto di Genova! Prima di arrivare ai giorni nostri, però, è bene osservare che l’abitudine di comprare cibo da asporto dall’Egitto compie altre tappe. Infatti viaggia per nave fino agli attuali Libano e Siria, risale verso la Turchia e attraversa il Bosforo arrivando in Grecia.
Friggitorie ambulanti e altre preparazioni
Qui i venditori di street food si organizzano addirittura con l’equivalente antico degli attuali “food truck”: ci sono baracchini itineranti nei quali vengono preparati e serviti diversi tipi di piatti veloci, non solo fritture. Ci sono zuppe di cereali (più spesso ceci), ma anche gli antesignani del kebab, con le pite farcite al momento.
Lo street food arriva in Italia proprio dalla Grecia, grazie agli scambi commerciali costanti fra questa e l’Impero romano. L’influenza greca non solo serve a insegnare ai Romani l’arte della panificazione (prima dell’impero nella Penisola non si usava il frumento ma per lo più il farro, meno gustoso al palato) ma anche il piacere di consumare i pasti fuori casa.
Erano pochissime infatti le domus che avevano una cucina, e i Romani ripiegarono convintissimi sullo street food dell’epoca, che veniva servito in locali come i thermopolia, locali fissi ma su strada, senza sedute, che intercettavano l’appetito di chi si muoveva di corsa per città affollate come Pompei.
Proprio qui sono stati trovati centinaia di locali di questo tipo, alcuni così ben conservati da avere ancora cibo nei contenitori di argilla dei propri banconi: c’erano zuppe, lumache in umido, una specie di paella e ancora focacce. Il tutto veniva accompagnato al vino o al posca, una mistura di acqua e aceto che era l’equivalente dell’epoca di un energy drink.